Io sono il cantiere! Amianto mai più

31jvAI59gmL._BO1,204,203,200_Non è una furbata… e come potrebbe esserlo: questo libro l’abbiamo curato io e la psicologa Corinna Michelin, è un libro denuncia e a riprova di ciò, non lo recensisco ma ci incollo proprio qua l’introduzione che ho scritto così magari aumento le occasioni di querela delle aziende che hanno utilizzato l’amianto ed ora non vorrebbero pagarne i danni alle vittime.

Tiziano Pizzamiglio

Io sono il cantiere! Amianto mai più, A cura di Corinna Michelin e Tiziano PizzamiglioEditore fuorilinea 2011

La memoria è una bestia antropofaga

La memoria collettiva è una bestia antropofaga, sempre selettiva e spietata, rivolge lo sguardo esclusivamente verso ciò che gli occhi pretendono di vedere. Con le stesse capacita ricognitive di una tomografia assiale computerizzata, percorre a ritroso il tempo, ma coglie, perché altro non può fare, solo i bubboni funzionali alle “celebrazioni celebrative del nulla” del presente. La tragedia amianto stravolge la facoltà dell’animo di conservare e rievocare esperienze e conoscenze passate, le stravolge perché sradica brutalmente la fissità tetragona del punto di osservazione passiva, lo ruota di centoottanta gradi e lo proietta verso il futuro. Costruirono le stelle del mare. Li uccise la polvere. Li tradì il profitto. Scrisse Massimo Carlotto apposta per l’epigrafe del monumento alle vittime dell’amianto collocato nella piazzetta pedonale del quartiere operaio di Panzano a Monfalcone. Un monumento speciale, unico, il primo al mondo, a non essere dedicato esclusivamente ai già morti, ma anche a coloro che moriranno, ai morituri… infatti è noto che l’amianto uccide anche dopo decenni dal tempo in cui le persone sono state costrette a respirare le fibre d’amianto, ecco perché questo monumento proietta la memoria verso il futuro e costringe il visitatore, che già ha faticato a trovare il monumento, a rivolgere i propri pensieri anche a coloro che moriranno, perché già sappiamo che l’ultimo morto italiano sarà seppellito solo dopo il 2030 mentre ignoriamo quando morirà l’ultimo uomo al mondo deceduto a causa dell’amianto perché, questa merda di materiale, continua ad essere estratto, lavorato e commercializzato nei paesi poveri del sud del mondo mentre, a venderlo e a ricavarci tanti soldi, sono sempre le nazioni ricche e ciniche. Si fatica a trovare il monumento. Panzano è un quartiere operaio costruito dai fondatori dei cantieri navali a ridosso dello stabilimento. Il monfalconese magari ci si orienta bene, ma chi non conosce la città deve chiedere informazioni anche se, in linea d’aria, la piazzetta si trova a pochi metri da dove scorre la strada che congiunge il cantiere al centro della città. Sarebbe stato decisamente meglio erigere il monumento in un luogo più accessibile e soprattutto più visibile ma, la memoria collettiva, rituale ed antropofaga, si mise a fare le bizze quando gli uomini e le donne dell’Associazione esposti amianto di Monfalcone chiesero il permesso di poter collocare il monumento davanti all’ex ingresso principale dei cantieri navali, accanto a quello che ricorda gli operai caduti durante la Resistenza, ma si sentirono rispondere che non sarebbe stato possibile, perché in quel luogo c’è già il monumento dei partigiani… come se quella resistenza, considerato il contributo di sangue degli operai dei cantieri, non fosse stata una lotta con le fibre d’amianto nei polmoni… L’associazione esposti amianto avrebbe desiderato che il monumento sorgesse in quel punto, proprio davanti al cantiere, come se fosse un indice puntato per sempre verso il luogo dove, migliaia di persone, hanno contratto il morbo mortale. Il luogo. È inutile, perfettamente inutile nascondersi dietro il dito dell’ipocrisia, tra il lavoro presso i cantieri navali e la morte per amianto c’è una tragica e precisa corrispondenza. Infatti, proprio in questi mesi del 2010, nelle aule dei tribunali, giudici, pubblici ministeri e avvocati stanno interagendo per stabilire se tutti questi morti avrebbero potuto essere evitati se solo il minerale fosse stato messo al bando nello stesso momento in cui la scienza avvisava ufficialmente le coscienze che l’amianto uccide senza rimedio. Di quali e quante coscienze stiamo parlando? I giudici si stanno occupando delle persone che ricoprivano incarichi dirigenziali presso i cantieri navali negli anni in cui le persone inalavano fibre a pieni polmoni e questa è la giustizia degli uomini… il diritto come categoria, come assieme di norme, violate le quali, si incorre nelle sanzioni stabilite… poi, nessuno lo nega, ma opto per la facoltà di non occuparmene, esiste la giustizia di dio, ovviamente per chi ci crede. Sarebbe finita qua se non esistesse anche la morale. La morale è una cosa complessa, ha poco a che fare con il moralismo e non è nemmeno quel valore su cui fanno commercio trasmissioni televisive come Striscia la notizia, Le iene o Mi manda Rai tre… La morale, chiaramente in funzione di sostantivo, deriva dal latino moràlia, il significato coincide quasi perfettamente con quello di etica. Quindi, in questo caso la morale è la condotta regolata da norme o meglio, la guida secondo la quale gli uomini agiscono. Allora che succederebbe se per valutare la condotta di chi ha permesso l’utilizzo dell’amianto conoscendo bene i suoi effetti catastrofici, ricorressimo alla morale e non già al diritto? Potremmo sempre considerare colpevoli esclusivamente i responsabili aziendali, o non dovremmo includervi altri, tanti altri… per esempio chi pur sapendo non ha legiferato, chi doveva allertare i lavoratori -perché dai lavoratori eletto loro rappresentante- e non l’ha fatto, chi da quei lavoratori, per legislature e legislature, era stato eletto alla Camera o al Senato, soprattutto al Senato, e dai lavoratori si recava solo per chiedere il voto… non sono altrettanto colpevoli costoro? La giustizia degli uomini, il cui corso è stato tanto invocato dagli esposti, spesso dal loro letto di morte, da decine di vedove ed orfani, come sempre accade, è parziale e riguarda solo chi c’era e chi c’è, ma non chi deve ancora morire: il ciclo biologico della vita è implacabile, quando l’ultimo operaio sarà morto a causa dell’amianto, i responsabili della strage, saranno già scomparsi da decenni, sia quelli perseguibili dalla giustizia degli uomini, sia quelli che possiamo annoverare tra i responsabili appunto perché esiste una separazione tra diritto e morale. I quattordici racconti autobiografici raccolti in questo libro ci narrano un numero enorme di storie… spesso queste storie si incrociano, ma più spesso ancora seguono percorsi paralleli per non approdare quasi mai a conclusioni scritte perché ciò che non è scritto, è molto più vasto di qualsiasi narrazione possibile e, allo stesso tempo, si fonde inesorabilmente con le emozioni del lettore. I racconti non sono stati risistemati seguendo le regole degli editing, le uniche correzioni hanno riguardato soprattutto refusi e dunque li possiamo leggere così, in presa diretta, come sono usciti dalla memoria di Giacomo, di Giovanni e della sua sposa, di Valeriano, di Rita N., di Vanda, di Lucio, di Rita S., di Fiorenzo, di Daniele, di Paolo, di Alvaro, di Carmelo e di Isaia. Li leggiamo al netto di qualsiasi retorica e puliti da qualsiasi vittimismo autoreferenziale. Sono racconti di rabbia, a tratti di disperazione, più spesso d’esasperazione, ma sempre lucidi. E ci sono parole d’accusa rivolte ai responsabili dell’esposizione, ai colpevoli dei ritardi, dei silenzi, delle omissioni… sono parole dure, che non lasciano scampo, ma sono parole che scaturiscono dall’elaborazione interiore e soprattutto dai percorsi di mutuo aiuto in cui la consapevolezza degli esposti è maturata al punto di esplodere in questi dolorosi racconti. Sono accuse le loro, che hanno donde d’essere e hanno donde d’essere sia perché quel che gli è accaduto è terribile, sia perché avrebbe potuto essere evitato se, se e ancora se… A completare il quadro ci sono le immagini della fotografa milanese Isabella Balena che, ormai qualche anno fa, venne a Monfalcone, assieme ad altri fotografi e a una decina di scrittori, per documentare quanto stava accadendo, sta accadendo e accadrà. Perché queste immagini, colgono dei frammenti di tragedia, che trascendendo i soggetti fissati per sempre nell’immagine, ma lo stesso, riescono a raffigurare ciò che era e ciò che sarà, ciò che siamo e ciò che saremo, colpendo chi avrà la forza di guardarle, in modo definitivo, non c’è via di fuga possibile: la tragedia amianto è così vasta che tutti possiamo affermare di averci perso un congiunto, un amico o un conoscente, tuttavia questa vastità è quasi annullata dalla rimozione che scatta automaticamente in chi non vuol rivivere il dolore che ha accompagnato la perdita della persona cara e in chi teme di potersi un giorno ammalare… Giacomo, Giovanni e la sua sposa, Valeriano, Rita N., Vanda, Lucio, Rita S., Fiorenzo, Daniele, Paolo, Alvaro, Carmelo e Isaia, con grande forza e generosità hanno scelto di scriverne perché il primo nemico della tragedia amianto è il fatalismo giudaico cristiano che l’ammanta. Del resto, può starci che una comunità intera, dopo anni di silenzi e di omissioni, consideri una condizione scontata la possibilità di morire per aver inalato delle fibre di amianto e può starci anche che, la stessa comunità, accetti con rassegnazione l’idea che alla malattia non ci possa essere rimedio e che alla diagnosi segua tassativamente la morte dopo un po’ di tempo passato a patire tutto il dolore del mondo in condizioni di malattia che non hanno uguali per assenza di cure specifiche.
Quel che non è affatto accettabile è il fatalismo della comunità medico scientifica che considera questo tumore, il mesotelioma pleurico, inguaribile ed incurabile, rinunciando in modo scellerato ed irresponsabile allo slancio positivista che dovrebbe contraddistinguere la ricerca medica, se l’umanità intera avesse adottato sin dall’inizio e contro ogni avversità questo atteggiamento, tutti gli abitanti del pianeta sarebbero ancora dediti ad attività di caccia, pesca e raccolta, non serve neanche essere un medico per lanciare questo atto d’accusa perché alcuni dati certi sul mesotelioma della pleurica ci sono e sono universalmente noti. Sappiamo, per esempio, che tra l’esposizione e l’insorgenza della malattia possono trascorrere decenni, mediamente da venti a quaranta, sappiamo anche che a parità di esposizione all’amianto non tutti si ammalano e muoiono. Allora bisognerebbe chiedersi perché non tutti i lavoratori che hanno respirato per lo stesso tempo quantità identiche d’amianto, si ammalano e poi muoiono. Qual è il fattore che preserva alcuni e non altri? Possiamo accettare che si conosca il gene responsabile del fatto che ad alcuni individui piaccia molto il cioccolato, ma non quello che preserva alcuni ex esposti all’amianto dall’insorgenza del mesotelioma pleurico per riuscire ad allungare all’infinito il periodo di latenza della malattia e quindi salvare quella persona?